Giulio Gelardi e la manna
Giulio Gelardi è una delle eccellenze delle Madonie, il più grosso produttore di manna al mondo e uno dei più affascinanti filosofi della natura che si possano incontrare.

Breve introduzione sulla manna:
I greci e i romani la conoscevano col nome di Miele di rugiada o Secrezione delle stelle. La sua etimologia deriva dall’ebraico Mân Hu, “cos’è?”, essendo stata questa, come narra il XVI libro dell’Esodo, la domanda che gli ebrei affamati si rivolsero nel veder cadere un cibo sconosciuto, miracolosamente mandato loro da Dio nel deserto: la manna. Ma esiste una manna che non cade dal cielo, e non è un miracolo. Piuttosto, stilla dal frassino, che nella mitologia nordica è l’Yggdrasil, l’Albero della vita, che abbraccia l’universo: le sue radici arrivano al cuore della terra, i suoi rami riempiono il cielo, sulla sua chioma si radunano gli dei. Un tempo la manna si raccoglieva in diverse parti d’Italia: in Sicilia, in Calabria, nel Gargano, nel Beneventano, nel Molise, nel Lazio nei boschi della Tolfa, nella Maremma toscana. Era una pratica conosciuta dai contadini, tramandata in famiglia. Fu soprattutto la produzione di mannitolo di sintesi, fin dall’inizio dell’900, a far diminuire la richiesta del mercato, a portare verso l’estinzione quest’antica cultura.

Giulio Gelardi

Esperto di manna

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La manna con le relative tecniche produttive e le tradizioni culturali ad essa legate, è stata iscritta nel registro dei beni immateriali dell'umanità.
Il registro è patrocinato dall'UNESCO e Giulio Gelardi è stato indicato custode di tale patrimonio.

Museo della manna

Oggi la manna si raccoglie solo in Sicilia, nella terra selvaggia e splendente delle Madonie, precisamente nei comuni di Pollina e Castelbuono. Qui la tradizione ha resistito all’industria, rischiando sì la scomparsa, ma ha superato il periodo più difficile, rinnovando di stagione in stagione l’antica gestualità che caratterizza la produzione della manna. Così, dopo che per anni la tradizione è sopravvissuta solo grazie a un testardo manipolo di anziani, oggi anche qualche sparuto giovane si è riavvicinato a questa cultura.
Buona parte del merito di questo ritorno alla manna va a Giulio Gelardi, un signore alto e magro, barbuto e dallo sguardo penetrante. È stato lui, alla metà degli anni ’80, a seguire le orme dei genitori nella produzione della manna. Rivoluzionandone però la tecnica di raccolta. Ecco come.
“Si dice che il frassino è maturo quando ha la giusta concentrazione di zuccheri per poter cristallizzare, e questo avviene solo quando entra nella dormienza estiva– spiega Giulio Gelardi- tipica dei climi mediterranei. La si riconosce da alcuni particolari: per esempio dalla foglia, che viene messa di taglio rispetto al sole, cosicchè le piante cominciano a fare pochissima ombra. A questo punto si può iniziare a fare le incisioni”. La grande novità apportata da Gelardi avviene nel 1986, ed è figlia dell’intuizione e di una piccola dose di fortuna. Fino allora, la manna che stillava dai tagli scivolava in buona parte sul tronco e sui rami, e la raccolta avveniva tramite raschiatura. Si otteneva così una manna poco pulita, contentente pezzi di tronco e altre impurità. “Una sera, prima di tornare in paese, salutai mia madre che stava rammendando dei pantaloni. Passando nel campo vidi un ramo che faceva un gomito, dove stava gocciolando della manna. Tornai di corsa indietro, presi la spagnoletta di filo, tornai dal frassino e feci in modo che il nodo corrispondesse alla goccia. Poiché il filo svolazzava, presi una pietra da terra e gliela legai sul fondo. Al mattino trovai un cannolo, poco più grosso di un fiammifero, rappreso attorno al filo. Capii che quella era la soluzione. Ritornai in paese, comprai dieci spagnolette e iniziai a legare il filo agli alberi”.
Oggi si usa il filo di nylon, liscio e più resistente. Il risultato è che la manna prodotta è molto più pulita, di qualità superiore. E poi c’è un’altra novità. “Le due varietà da sempre utilizzate per produrre la manna sono il frassino ornus, prevalente a Pollina, che produce una manna più cristallina, più buona, ma in quantità notevolmente più bassa, e il frassino angustifolia, prevalente a Castelbuono, che garantisce maggiore quantità ma minore qualità. Nel secondo dopoguerra è stata trovata una nuova varietà, il verdello, che produce una manna di qualità molto simile all’ornus ma con quantità da angustifolia. E oggi usiamo tutti questa varietà”. Insomma, una specie di uovo di Colombo. Ultima innovazione, non meno importante, è stata l’avvio della vendita diretta di manna da parte dei produttori, anche sotto l’impulso di Slow Food che ha creato un presidio apposito. “Prima la vendevamo in grossi quantitativi all’industria, senza poter contrattare il prezzo. Vendendola noi in piccole quantità non vediamo più svalutato il nostro lavoro, possiamo controllare i prezzi e permetterci di mantenere in vita questa raccolta tradizionale”.

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